Il mercato guida da tempo ogni misura dell’estetica nel contemporaneo. Siamo infatti in un mondo completamente schiavizzato ad una bellezza modulata come merce.
L’umanità non fa che abbeverarsi a tale sostato che pilota le esistenze. Questo testo di Pierluigi Pansa offre parecchi spunti sulla contingenza dell’arte contemporanea. Intanto è da rilevare come la ricerca attuale non presupponga alcuna educazione estetica, essendo diventata una propaggine della finanza che scommette su di essa come dei futures. Gli artisti sono divenuti delle celebrities, che vivono di congiunture più momentanee che di lungo termine, sempre accompagnate da un sistema comunicativo che sfrutta ogni alveo per creare giochi sempre più d’élite. Il simbolico, nell’attualità, si è sciolto in segni guidati dall’economia e dalla tecnologia. L’artista si deve fare social, crearsi una riconoscibilità che prescinde dalla creazione di opere rilevanti. Il sistema finanziario nutre tale apparato, certamente volatile e sicuramente non aperto al grande pubblico. La critica d’arte diventa sovente un mero surrogato di questo dominio e non c’è più patria per un giudizio estetico. Manca pure un collezionismo illuminato verso il prossimo e che non sia asservito a logiche meramente speculative. I mediatori dell’arte contemporanea cercano quindi d’impostare mostre che abbiano un riscontro mediatico, fingendo di ledere certi costrutti o dissacrando certi tabù. In realtà sono bolle che si sgonfiano abbastanza velocemente, come vogliono le tempistiche auspicate dal Capitalismo finanziario. Tematiche, anche rilevanti, permangono però anche nell’arte contemporanea. Il problema è che, sovente, di tali concetti si parla al grande pubblico solo per scandaletti da quattro soldi e su questioni trite e ritrite. Ecco quindi che l’arte contemporanea non è come quella dipinta dai media imperanti. Permangono sacche di rilevanza che non cercano scalpori a pessimo mercato, pur se i mezzi d’enunciazione chiaramente non sono più quelli anche di solo pochi decenni fa. Purtroppo la finanza domina e molti artisti o addetti ai lavori vi si accodano come meri cortigiani. Certe “ opere ” poi, dopo roboanti esposizioni, finiscono nell’oblio e non sono per nulla esemplificative per un qualsiasi avvenire che ha bisogno solo di consumatori vogliosi di fagocitare sempre nuovi avvenimenti di finta indecenza. Il libro problematizza quindi l’attualità ma sa anche proporre, tra le righe, possibili uscite da tali sabbie mobili. L’arte insomma ha tantissimi canali per arrivare, il problema è che non paiono, almeno attualmente, quelli giusti per essere basilari anche per le generazioni future.
Stefano Taddei
Pierluigi Panza
L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità finanziaria. Genealogie ed eterogenesi dei fini nell'arte contemporanea
pp. 169
Guerini Scientifica
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