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Qual è il ruolo di una fiera d’arte? Chi sono i nuovi collezionisti e buyers? Come sta cambiando il mercato dell’arte con le nuove politiche di import/export e qual è l’importanza delle collaborazioni? Combat Art Review ha incontrato la direttrice di London Art Fair 2019 Sarah Monk e la curatrice di Dialogues Kiki Mazzucchelli.



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London Art Fair director Sarah Monk

Carolina Rapezzi: Andando oltre il concetto di fiera d’arte come evento commerciale e culturale, qual è il ruolo di una fiera d’arte, in un panorama in cui le grandi mostre e le fiere d’arte sono diventate più simili? E come è cambiata la fiera dal punto di vista curatoriale?


Sarah Monk: London Art Fair è una fiera molto prospera e molto orgogliosa del suo patrimonio, quest’anno è la sua 31esima edizione e penso che siamo riusciti a sostenerci nel tempo continuando ad evolvere, riflettendo su ciò che sta accadendo nel mercato dell’arte in relazione alla produzione, considerando i media che gli artisti utilizzano e cogliendo le tendenze ed i punti di interesse anche tra compratori, visitatori e collezionisti. Vogliamo alimentare il fermento e le tendenze che stanno emergendo dal mercato e, allo stesso tempo, sostenere e incoraggiare una nuova generazione di collezionisti e visitatori ad avvicinarvisi attraverso la fiera. Abbiamo un gruppo incredibilmente fedele di gallerie e visitatori che ritornano ogni anno ma la nostra linfa vitale dipende anche dalle nuove gallerie di proposta. C’è il desiderio di scoprire qualcosa di nuovo andando oltre il concetto commerciale di fiera d’arte e il suo ruolo di incontro tra artisti e compratori; è anche necessario creare programmi interessanti e innovativi: talk e discussioni, tour e performance fanno parte della London Art Fair per stimolare il pubblico ad impegnarsi in ambiti diversi, per raccogliere le istanze politiche, sociali ed economiche che si stanno sviluppando a fianco del mondo dell’arte. Un’altra sezione importante della fiera dal punto di vista curatoriale è la Museum Partnership che abbiamo introdotto sei anni fa e che ci permette ogni anno di far luce su un diverso museo pubblico della Gran Bretagna, portando alla fiera le opere più importanti delle loro collezioni permanenti. Questo ci dà il privilegio di ospitare una mostra museale all’interno di un ambiente commerciale come una fiera d’arte, ponendo l’attenzione anche sull’importanza del collezionismo come modo per acquisire e preservare le opere permettendo ad un pubblico sempre più ampio di goderne nel tempo.


CR: Al tuo sesto anno come direttrice della London Art Fair, sei stata una parte fondamentale nell’evoluzione della fiera, concentrandoti sullo scambio culturale, sulle collaborazioni e su Dialogues, la caratteristica che hai lanciato quando hai iniziato come direttrice. Cosa è stato realizzato finora e cosa vorresti ottenere in futuro?


SM: Una delle caratteristiche principali della fiera è che nel corso della sua storia è diventata sempre più internazionale e contemporanea. Questo è iniziato 15 anni fa, quando abbiamo lanciato Art Projects, una sezione nata per sostenere ed incoraggiare le più interessanti gallerie contemporanee emergenti a far parte della fiera presentando i loro artisti, sia con mostre personali che collettive. Abbiamo capito che, da una prospettiva equa, le finanze per poter partecipare ad una grande fiera sono spesso abbastanza proibitive per le gallerie più giovani. Quindi volevamo che le gallerie più piccole potessero venire a Londra per iniziare ad esporre con noi, sostenendo e sovvenzionando il costo dei loro stand in modo da non dover scendere a compromessi sull’ambizione dei loro progetti espositivi. Abbiamo permesso così alle gallerie e agli artisti di realizzare pienamente la propria pratica, rimanendo fedeli a ciò che intendevano presentare al pubblico. Ho iniziato Dialogues nel 2014 per guardare oltre il senso di collaborazione tra gallerie in termini di presentazione, ma oggi è importante anche creare piattaforme di scambio in termini di relazione. Pensando ad una galleria internazionale che sta arrivando a Londra, presentando per la prima volta i suoi artisti al pubblico, come fiera sentiamo la responsabilità di creare partnership per aiutarli e sostenerli in questo processo. Nell’ambito di questa collaborazione, interfacciamo queste gallerie con gallerie britanniche che sono in grado di sostenerle e di introdurle nella loro cerchia locale di collezionisti. I visitatori che vengono alla fiera possono godere del dialogo, delle similitudini e delle differenze tra queste gallerie. E, a causa dell’incredibile numero di fiere in tutto il mondo che i visitatori possono scegliere ogni anno, c’è l’assoluta necessità che le fiere continuino a guardare ai modi infiniti con cui le gallerie possano presentarsi, consentendo ai visitatori di cogliere ogni volta i diversi progetti tra artisti e gallerie, arricchendo così la loro esperienza.


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Achiampong. part of Photo50 a London Art Fair 2018. Photo credit - Mark Cocksedge

CR: Chi sono i collezionisti nel 2019?


SM: I nostri collezionisti sono incredibilmente diversificati e questo è il riflesso del nostro lavoro preparatorio. Abbiamo opere che vanno dall’arte moderna alle opere contemporanee emergenti e l’età dei visitatori della London Art Fair è molto varia. Certamente, in un’era digitale in crescita, che permette alla fiera di andare oltre la posizione geografica, abbiamo molti collezionisti internazionali, oltre ad un crescente numero di collezionisti sempre più giovani rispetto a sette anni fa. Ma con iniziative come il Museum Partner, con la presenza di gallerie che rappresentano l’arte moderna britannica, parte molto importante del nostro patrimonio, stiamo ancora rivolgendoci ad una tipologia di buyers più maturi. Poi abbiamo collezionisti che comprano per sé stessi, per le istituzioni, per le collezioni aziendali; siamo molto vicini alla città e al cuore finanziario di Londra, dove gli investitori sono interessati a comprare opere di cui sono appassionati, in ogni caso è nostra responsabilità continuare ad acquisire nuovi collezionisti d’arte, presentarli alle nostre gallerie, trovare nuove relazioni, invitare quel giovane collezionista che viene alla London Art Fair ad acquistare una nuova opera d’arte.


CR: Come pensi che cambierà il mercato dell’arte con i possibili cambi internazionali nelle politiche di import/export?


SM: Per noi, l’importanza delle collaborazioni, della comunicazione e dello scambio rimarrà davvero determinante. Londra è ancora un importante centro d’arte globale, ancora molto aperto agli affari per molte gallerie internazionali. Penso che l’unica cosa da fare sia continuare ad essere aperti alle collaborazioni, a nuovi modi di lavorare insieme. Le fiere sono spazi importanti per la vendita delle opere, ma anche importanti spazi di conversazione sulle sfide che il mondo dell’arte si trova ad affrontare.


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Visitors at London Art Fair. Credit - Mark Cocksedge

Carolina Rapezzi: Come trovi questa esperienza come curatrice di Dialogues? Come creare e costruire collaborazioni tra gallerie ed artisti?


Kiki Mazzucchelli: Dialogues ha un curatore diverso ogni anno e stabilisce un dialogo tra coppie di gallerie. A causa del mio coinvolgimento con l’arte latino-americana, ho lavorato con quest’arte per più di 20 anni, la mia proposta era di creare un dialogo tra artisti latino-americani ed europei. Il processo è piuttosto intenso di ricerca perché, essendo London Art Fair una fiera commerciale, richiede un metodo differente di curarla, se la confrontiamo con una mostra istituzionale o con una galleria commerciale. Per una fiera, dipende davvero dalla galleria per essere all’altezza. C’è un lungo processo di ricerca e negoziazione; a volte i galleristi pensano che non sia il momento giusto per una fiera, potrebbero avere impegni diversi e ci vuole molto tempo prima di trovare la giusta coppia. C’è poi una combinazione di fattori che possono influenzare la scelta, come i precedenti rapporti con le gallerie e gli artisti, le gallerie che propongono artisti o viceversa. A volte la fiera ha candidature spontanee di artisti interessati a sezioni specifiche. In questo caso la fiera mi manda le loro proposte e, se penso che si adattino all’idea curatoriale, li invito a partecipare. Quindi è anche la fiera stessa a contribuire a promuovere il concetto curatoriale.


CR: Quali argomenti comuni sono venuti fuori da questa serie di collaborazioni tra artisti latino-americani ed europei?


KM: C’è una cosa che è abbastanza forte, l’idea di promuovere le artiste donne. Questa è ora una discussione globale, che è abbastanza seria in Brasile a causa della situazione politica, ma è anche all’ordine del giorno mondiale. La pittura è sempre stata un dominio molto maschile, perché è probabilmente una delle forme d’arte più apprezzate, i pittori fanno soldi. Anche se devo dire che in Brasile, i pittori più apprezzati sono donne, questo non è così comune in altre parti del mondo. In uno degli accoppiamenti, ci sono due pittrici, molto giovani e promettenti. Una di loro è Goia Mujalli, che ha sede a Londra da molti anni, ma è originaria di Rio de Janeiro. Le sue opere sono molto astratte, disegna i motivi della sua città natale Rio, con le luci e i colori. Ma la sua pittura è anche molto concettuale, con stratificazioni e tecniche raffinate. L’altra è un’artista britannica, Rebecca Harper, con opere molto figurative, rappresentazioni della vita sociale contemporanea, molto tradizionali nel senso della tradizione pittorica, ma anche molto contemporanee. Trovo interessante l’idea di demistificare quest’immagine esotica dell’America Latina perché questa in realtà non esiste, è una costruzione politica ed ideologica. Ogni paese è diverso, ha una sua propria storia, una sua propria cultura. Quello che volevo fare in modo molto semplice, era confrontare Rebecca e Goia, l’una vicino all’altra, sperando che le persone guardino a queste due artiste, senza toppi preconcetti.


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Rebecca Harper, Hanging By A Scaffold. Courtesy Anima Mundi

CR: Come pensi che cambierà il mercato dell’arte con i possibili cambiamenti internazionali nelle politiche di import/export?


KM: Questa è una grande questione in America Latina perché le dogane sono molto complicate e abbiamo politiche di importazione/esportazione molto antiquate sul posto. Quindi è molto difficile fare affari con i paesi dell’America Latina. D’altra parte, le persone sono sempre più interessate a trovare nuovi modi, soprattutto le nuove generazioni. Molte persone ora hanno sede all’estero, gli artisti possono viaggiare in paesi diversi per produrre lavoro, con residenze per esempio, soprattutto se parliamo di arte contemporanea.


CR: Qual è il tuo prossimo progetto?


KM: A febbraio andrò in Messico dove curerò la sezione progetti personali della fiera Zonamaco, che ospiterà 24 gallerie. A marzo avrò un progetto molto intrigante, perché sono molto interessata nel riscrivere la storia dell’arte , ampliandone il canone, e poi sto organizzando questa mostra di un artista d’avanguardia brasiliano, Flavio de Carvalho, molto noto in Brasile, ma quasi sconosciuto all’estero. Questa sarà la sua prima mostra personale al di fuori del paese. È interessante perché ha studiato in Inghilterra e ha corrisposto molto con pensatori e artisti inglesi.


- Carolina Rapezzi

 
 

Da questo novembre al 3 febbraio 2019, la National Portrait Gallery ospita la sua ultima mostra The Beautyful Ones, una serie di alcune delle opere più importanti dell'artista nigeriana Njideka Akunyili Crosby.


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Exhibit room - Njideka Akunyili Crosby - National Portrait Gallery

Ispirata al romanzo ghanese The Beautyful Ones Are Not Yet Born dello scrittore ghanese Ayi Kwei Armah, la serie ritrae i fratelli di Crosby in posa o catturati in scene domestiche, circondati da interni tipici nigeriani che si arricchiscono di elementi “estranei” appartenenti alla cultura occidentale o a una nuova e poliedrica tradizione locale. Questa serie di opere è dedicata ad una nuova generazione, nella speranza che questa generazione possa vivere le sue potenzialità, avere l’opportunità di svilupparsi in una società più aperta e multietnica, una possibilità che la generazione dei suoi genitori non aveva avuto.

Nata nel 1983 a Enugu, in Nigeria, Crosby si è trasferita a Lagos all'età di 10 anni, dove è rimasta per sei anni fino a quando si è trasferita negli Stati Uniti dopo che sua madre vinse la lotteria della green card americana. Un anno dopo, Crosby tornò in Nigeria per far parte del Servizio Nazionale e fu in questa occasione che si rese conto di quanto la sua patria fosse cambiata e di quanti aspetti di culture diverse si erano fusi nella tradizione locale, creando una società nuova, multiculturale e più globale.

L'influenza del colonialismo britannico con i suoi costumi e le sue tradizioni insieme alla cultura pop americana con i suoi miti e status symbol aveva generato la nascita di nuovi comportamenti sociali; gli adolescenti avevano iniziato a ballare, posare, vestirsi e agire in modo diverso. Allo stesso modo, i loro sogni e le loro aspirazioni erano cambiati. Troviamo un grande esempio nel ritratto di suo fratello della Serie #2 dove uno dei suoi sei fratelli è ritratto in un abito nigeriano in stile militare, ma anche con un paio di mocassini neri con calze bianche, con un chiaro riferimento a Michael Jackson. Così come il suo modo di posare ci ricorda i movimenti tipici che l'intera generazione stava emulando all'epoca. Tra le fotografie sullo sfondo, la cantante nigeriana Chtis Okotie indossa una giacca rossa, che ci riporta alle immagini del video "Thriller".


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Series #2 - Njideka Akunyili Crosby - National Portrait Gallery - Acrilico, matita colorata e transfer su carta, 2018

L'interesse di Crosby per questo complesso flusso di eventi sociali e culturali si è trasformato nello sviluppo di un meticoloso processo artistico nelle sue opere, che include trasferimenti fotografici, pittura, collage, disegno a matita, polvere di marmo e tessuti. Un processo che ha sviluppato durante gli studi alla Pennsylvania Academy of Fine Arts e poi alla Yale University School of Art, dove ha conseguito un master.

Esiste sempre un accurato processo di ricerca dietro ogni fotografia inclusa nelle opere dell’artista; la loro composizione ambigua e anche la logica del modo in cui Crosby le inserisce nel collage, possono riflettere il concetto stesso delle sue opere, mescolando e sovrapponendo strati aggiuntivi. Celebrità, politici, modelli, attori, cantanti, notizie da tutto il mondo, sono tutti riuniti in una composizione profondamente strutturata.

Indubbiamente, quando guardiamo i suoi dipinti, i riferimenti africani e soprattutto nigeriani sono piuttosto evidenti. Tuttavia, qualcosa ci distoglie dalla composizione e contemporaneamente ci collega a qualcos'altro.

Entrando nella sala espositiva, la combinazione di texture e patterns trascina lo spettatore nell'intimità delle scene di vita quotidiana dell’infanzia e dell’adolescenza dell’artista in Nigeria, ma anche dell'età adulta negli Stati Uniti. Dopo il primo impatto lo spettatore è dolcemente condotto in un'attenta osservazione dell'immagine, dove dettagli provenienti da culture diverse si fondono creando un equilibrio armonioso tra colori, forme e composizione. La serie #7 mostra una giovane ragazza in una scena di strada, in piedi con le braccia incrociate circondata da auto gialle, che ricordano il colore del suo vestito. Questo ritratto è uno dei pochi ambientati all'esterno, in quanto di solito sono tutti raffiguranti scene domestiche.


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Series #7 - Njideka Akunyili Crosby - National Portrait Gallery - Acrilico, matita colorata e transfer su carta, 2018

In una stanza separata possiamo trovare un altro quadro che in realtà non appartiene alla serie, che si chiama Something Split and New, ispirato al saggio scritto dallo scrittore keniota Ngugi Wa Thiong'o, Something Torn and New: An African Renaissance 2009, sulle conseguenze del colonialismo e sull'importante ruolo delle lingue native per la memoria africana. Il dipinto raffigura una scena ispirata all'epoca in cui Crosby ha presentato il marito alla sua famiglia in Nigeria.


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Something Split and New - Njideka Akunyili Crosby - National Portrait Gallery - Acrilico, carboncino, pastello, matita colorata, collage e transfer su carta, 2013

Esporre opere d'arte che incarnano non solo l'integrazione di due culture, ma anche la nascita di un nuovo patrimonio arricchito, come conseguenza del colonialismo, della migrazione e dell'integrazione, è di fondamentale importanza nel clima attuale.

In un momento così delicato e controverso per vari paesi che si trovano ad affrontare politiche migratorie rigorose, tra cui l'Inghilterra con le imminenti fasi finali del Brexit, il lavoro di Crosby diventa ancora più vitale e significativo per riflettere sul concetto di identità nell'epoca attuale.


“The Beautyful Ones” - Njideka Akunyili Crosby

17 novembre 2018 - 3 febbraio 2019 Stanza 41 & 41a, piano 0

National Portrait Gallery, St Martin's Place, London, WC2H 0HE

Orario di apertura: 10.00 - 18.00

Ingresso libero


- Carolina Rapezzi


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