top of page

Scopertura del Pavimento del Duomo di Siena


Dal 18 agosto al 27 ottobre, la Cattedrale di Siena scopre il suo magnifico pavimento a commesso marmoreo, frutto di cinquecento anni di espressione artistica, un viaggio simbolico alla ricerca dei più alti valori dello spirito umano. come in cielo, così in terra. Dalla porta alla città del cielo al pavimento. Un percorso dalla sommità della Cattedrale e dal Facciatone del Duomo Nuovo fino alle tarsie marmoree.




Dal Museo dell’Opera, con la salita alla città del cielo, dall’alto muro sarà possibile non solo leggere i monumenti senesi più significativi, ma anche “vedere un nuovo cielo e una nuova terra” (Apocalisse 21,1). Attraverso l’ascesa alla porta del cielo i visitatori sembrano muoversi lungo la scala apparsa in sogno a Giacobbe, la cui cima raggiungeva il cielo e gli angeli di Dio salivano e scendevano (Genesi 28,10-22). Nel sogno Dio promette a Giacobbe la terra sulla quale egli stava dormendo e un’immensa discendenza. Al suo risveglio Giacobbe esclama «Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo», verso utilizzato dalla liturgia nella messa della dedicazione delle cattedrali. Ma ‘porta del cielo’, secondo le litanie lauretane, è anche la Vergine, definizione che meglio esprime la potenza e la bontà di Maria, la quale come Madre di Cristo e dell'umanità, concorre alla nostra salvezza eterna in Cielo ove lei è ‘Regina assunta’. Il percorso “dall’alto” permette infatti di comprendere meglio la dedicazione del Duomo di Siena all’Assunzione della Madonna e il forte legame che i cittadini senesi hanno da secoli con la loro ‘patrona’: Sena vetus civitas Virginis. La Madonna si definisce anche come Sedes Sapientiae, sede di Sapienza e invita i cittadini a “visitare castamente il suo castissimo tempio”, come si legge nell’iscrizione d’ingresso al Pavimento. “Nella solarità abbagliante dei suoi marmi e cotti” (Mario Luzi), Porta e Città del Cielo si riflettono nel Pavimento del Duomo di Siena per saldarsi in unico sguardo.


- Redazione


Info: +39 0577 286300 –


ree


 
 

I graffiti sono certamente una modalità d’intervento nella dimensione urbana che ha trovato, anche recentemente, nuove possibilità esplicative. Più che sull’estetica queste operazioni s’inseriscono nella dimensione del decoro.


ree

Secondo i curatori del testo tale questione riguarda in particolar modo il confronto privato/pubblico. Questa è comunque una questione che rimarrà sempre irrisolta e darà sempre ai writer o agli artisti di strada motivi per operare. Il libro esibisce tante interviste a protagonisti del settore, dove presentano il loro agire etico/estetico e il confronto con la legalità. Airone dichiara amore per la città, Breezy G ( 00199 Crew ) cerca di veicolare messaggi incisivi in varie località, Mork sostiene la necessità di utilizzare lo spazio pubblico, Panama ( 00199 Crew ) promuove la sfida alla legge con contatti tra hip hop e punk. Più legato alla performance risulta il lavoro di Tuff, mentre i Soviet_Volkswriterz hanno scardinato l'idea di crew solitaria per definire dichiarazioni di libertà. Blu testimonia tanta amarezza per la contingenza attuale, Bue 2530 sottilinea la spegiudicatezza dell'operare in bilico tra legalità e illegalità. Creare dei dubbi nella collettività pare essere lo scopo del Collettivo FX. Ex Voto utilizza un linguaggio visivo di chiarissima deriva religiosa, le “ madonnelle “, per satireggiare sull'attualità. Groove testimonia lo scontro tra creatività e sostentamento che può far perdere il sentiero nell'attitudine alternativa all'esistente, la Guerrilla Spam accentua l'aspetto relazionale del messaggio e Hogre insiste sul sedimentare un mezzo espressivo che destabilizzi i codici di subalternità presenti nella società. Incursioni Decorative tenta di creare lo stupore nell'osservatore, Lina perservera in una ricerca in cui il fare umano può plasmare e modificare l'ambiente. Legato al momento risulta l'arte urbana per Nemo's, mentre Tiler sottolinea il suo creare nascosto in ore notturne e il proprio rivolgersi ai vari avventori della strada. Marcello Faletra rimarca nel suo saggio l'aspetto ludico dei graffiti, una norma che li toglie dall'ambito proprio del capitalismo. Essi parlano alla nostra coscienza spesso genuflessa al quieto vivere. Monia Cappuccini ci ricorda come i conflitti che hanno investito Atene dal 2008 hanno sedimentato, nella crisi inesorabile di una coesione europea, parecchie proteste dove anche vari artisti di strada hanno lasciato il segno. Chiudono il libro il testo di Raffaella Ganci, dove si discorre della situazione fiorentina ma non solo, e quello di Mattia Tombolini, un lascito inequivocabile dell'importanza del veicolo sociale dei messaggi o immagini sui muri “ imbrattati “ .


-Stefano Taddei


Alessandro Dal Lago e Serena Giordano ( a cura di ) con la collaborazione di Mattia Tombolini

Sporcare i muri Graffiti, decoro, proprietà privata

DeriveApprodi, pp. 144

 
 

Il 1968 fu un anno di non ritorno per molte manifestazioni artistiche, non solo per quelle svolte sul nostro suolo nazionale. Proteste studentesche coadiuvate da artisti e intellettuali, presenza delle forze dell’ordine all’inaugurazione, defezioni e parecchie lamentele per la presunta arretratezza della manifestazione: tutto questo e tanto altro riguardò quest’anno fatidico della Biennale di Venezia.

ree

Sotto gli auspici di un interesse più focalizzato sul “ fare “ della ricerca artistica, su esperienze partecipative e sulla didattica si aprirà la rassegna del 1970. Certamente grande dibattito creò il padiglione francese a cui collaborò Paul Virilio. La protesta coinvolse stavolta il padiglione USA, con alcuni notevoli ritiri come quello di John Cage e Robert Rauschenberg. In fondo questa fu una Biennale di transizione, con alcune peculiarità ma anche dimenticanze ( vedi l’arte povera come movimento ) e con molte questioni che andavano aggiustate. L’edizione del 1972, nelle premesse, pareva auspicare una sorta di ritorno all’ordine, dove molti artisti targati PCI avevano avuto il salvacondotto per potervi partecipare. Sarà pure l’ultima ai cui allestimenti collaborerà Carlo Scarpa. Nella sezione italiana si scontrarono due idee critiche “ bolognesi”, una di Francesco Arcangeli e l’altra di Renato Barilli. La prima si basava sulla tradizione della durata dell’opera, la seconda sulle nuove possibilità di dilatazione di tale concetto. Gino De Dominicis – invitato da Renato Barilli - creò scandalo con l’esibizione di un ragazzo con la sindrome di Down ma propose, in un insieme comunque annebbiato dagli strali moralistici dei molti, una riflessione profonda sull’immortalità e sulla mostruosità dell’arte. La rassegna inoltre presentava una sezione video veramente rilevante, mentre altre mostre programmate non si svolsero per varie problematiche. Era però una manifestazione perfettamente in sintonia con il periodo. Dopo questa edizione ci saranno alcuni anni di mutamenti in seno all'organizzazione dell'evento. Arriverà il 1976, con una Biennale dove le mostre da ricordarsi presentarono ricerche rivolte all'ambiente ma pure un'apertura verso possibilità spaziali e relazionali. L'esposizione curata da Germano Celant rimarrà impressa come operazione altamente professionale anche perché estremamente complessa e, in fin dei conti, perfettamente riuscita. La natura sarà protagonista poi nel 1978. Poi la Biennale del 1980 proporrà riflessioni sul decennio in apertura. Cosa ci lasceranno perciò gli anni Settanta ? Secondo l'autrice l'emergere della figura del critico, ben differente dallo storico dell'arte. La Biennale manterrà anche in seguito invece la sua connotazione non unificante, continuando ad avere i padiglioni nazionali. Successivamente si aprirà sempre più alla città. Ma questa è un’altra storia.

-Stefano Taddei


Stefania Portinari

Anni settanta. La Biennale di Venezia

Marsilio, pp. 336

 
 
bottom of page