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I Sex Pistols hanno rivoluzionato non solo il mondo della musica. Anche dal punto di vista filosofico hanno sedimentato l’idea che chiunque possa proporre le proprie idee, senza avere una specifica preparazione tecnica.



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La loro storia dura dal 1975 al 1978 ma non ha ancora smesso di lasciarci il suo influsso. Epigoni del “ No Future “ hanno aperto in realtà ad una nuova modalità dell’avvenire e costituito una notevole ( forse l’ultima ) rivoluzione culturale. La rivolta è andata oltre alla rappresentazione e l’autore propone come data di svolta il concerto dei Sex Pistols a Manchester il 4 giugno 1976. Anche senza rivolte di piazza il gruppo britannico ha proposto una rottura del passato e del presente che ha aperto ad un futuro ancora in ballo. Dal concerto ricordato sopra è nato il “ chiunque può farlo, fallo anche tu “, che ha dato impulso ad una nuova ontologia del presente negli spettatori e in chi seguiva il movimento. Qui nasce un diverso modo di fare rock e domande sul se stessi. Da quel momento chiunque poteva suonare, anche l’uomo più comune. Il suono del concerto di Manchester fu orrendo, non certo l’attitudine dei gruppo. Il soggetto-spettatore vide una liberazione da certe concezioni esistenziali universali, sondò un nuovo tipo di progresso ancora in divenire. Il gruppo voleva una rivolta perché non vedevano nulla nel futuro ma nonostante ciò creò una rivoluzione proprio perché delineò un nuovo avvenire. Attraverso il post-punk il movimento ha tracciato nuovi tragitti creativi ed esistenziali. I Sex Pistols hanno acceso un fuoco che continua a bruciare. Il loro urlo ha tolto il velo ad una rivoluzione che non era certamente senza futuro, anzi, aspettava solo di uscire socialmente ed esistenzialmente. Con umorismo e provocazione il gruppo britannico seppellì la scuola hippy, con una sfrontatezza che sapeva anche di speranza. Dietro le loro canzoni c’era una stanchezza di vedere maltrattato in vario modo il prossimo. Non sottostava alcun cinismo, urlavano una loro verità sulla contingenza. Tanto di quello che furono i Sex Pistols deriva da una vacanza fatta nella caotica Berlino. Bodies rappresenta la grande importanza che ha avuto il corpo nella storia del punk in generale. Forma di autodeterminazione e sfrontata resistenza alle normative codificate. Per quanto riguarda l’anarchia, nelle parole di Johnny Rotten, se ne discorre dal punto di vista personale. Si voleva una rivolta che significava che tutto era possibile. L’autore afferma che la forza del punk è di non aver messo radici, è stata una linea di fuga, una critica all’esistente e al più recente passato hippy. Su questa caratteristica ci si possono fare domande, non si danno però risposte. ( Stefano Taddei )


 
 

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All’interno di Cremona Art Fair 24 – 26 marzo 2023, in collaborazione con il Premio Combat, nasce 20+ a call for DRAWINGS, progetto interamente dedicato al disegno, pratica che negli ultimi anni ha visto un processo di ridefinizione dei propri confini.

Attraverso un contest, curato da Camilla Remondina in collaborazione con la direzione artistica del Premio, verranno selezionate le migliori opere su carta per dar vita ad un progetto espositivo che si configura come uno studio sulla fenomenologia del disegno, base comune e condivisa di ogni esperienza artistica.

Nato per offrire una opportunità di crescita e visibilità a tutte quelle realtà ed esperienze creative che caratterizzano la produzione artistica contemporanea, con un’attenzione particolare alle giovani generazioni, la mostra prenderà forma durante i giorni della fiera in una sorta di progressiva genesi arborescente, ponendo le opere in dialogo con le scelte della curatrice e l’ambiente.



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Il concorso è aperto a tutti gli artisti contemporanei, di ogni nazionalità. Non ci sono limiti di età, né vincoli tematici. La call è gratuita e aperta a tutte le forme del disegno contemporaneo.

Per partecipare avete tempo fino al 31 gennaio 2023, compilando il form alla pagina del sito di Cremona Art Fair https://www.cremonaartfair.com/programma

Per ulteriori info si può inviare una mail a info@cremonaartfair.it o a info@premiocombat.it


Sotto con le candidature!

 
 

Elisa Muscatelli Come è iniziato il tuo percorso artistico? Ci sono stati riferimenti che hanno plasmato in modo importante la tua carriera? Marco Rossetti I miei riferimenti artistici sono sicuramente quegli artisti che nella storia hanno lavorato sul fotografico più che sulla fotografia per eccellenza, e quindi penso a tutta l’arte dell’appropriazione come Cindy Sherman , Richard Prince o Levin, come tutta la Scuola di Düsseldorf, in particolare Thomas Ruff. Loro hanno utilizzato la fotografia come un elemento che potesse essere plasmato, che potesse essere utilizzato per arrivare a un altro fine, che non sia solo il racconto e che non sia solamente la bellezza dell’immagine in sé. Paesaggi che vengono scomposti, strutture alterate, tracce di memorie storiche e archivi ritrovati. In che modo prende forma il tuo rapporto con il tempo storico? La storia per me è sempre veicolata dagli occhi di una singola persona, o da un gruppo, o da una piccola comunità. Soprattutto la cosa che mi interessa è di analizzare il processo del cervello nei confronti dei ricordi, come si comporta nella gestione di essi, soprattutto quando ci sono degli eventi che sono difficili da ricordare o che sono semplicemente veicolati da illusioni. Anche come la società lavora sulla gestione dei ricordi e sulla gestione delle immagini che hanno a che fare con la memoria.


E.M. Alcune opere vengono assalite da elementi scultorei violenti: lance, frecce, tagli netti della superficie che cambiano la fisionomia dell’opera. Da cosa nasce la scelta di unire due media così apparentemente diversi come quello della scultura e della fotografia? M.R. Cerco di utilizzare la fotografia come materia prima e quindi cerco di avere una libertà nei confronti dell’immagine che non sia vincolata dalla leggibilità o dalla fruibilità di quel determinato scatto. Per me la possibilità di distorcere l’immagine, di modificarla, di tagliarla, di affettarla, è molto stimolante, e delle volte l’utilizzo di quelle fotografie in una versione più scultorea è indispensabile per veicolare un determinato messaggio. L’importanza di quell’opera poi non ha più a che fare con cosa è presente nell’immagine e cosa rappresenta quella fotografia, ma è più che altro il contesto in cui si trova quella fotografia.


E.M. Una tua opera, Flatland, prende come riferimento il celebre racconto di Edwin A. Abbott, che ci introduce in un mondo formato da una dimensione piana e mette in discussione tutte le regole spaziali. Come si esprime nella tua ricerca artistica la dimensione spaziale?


M.R. Flatlandia per me ha una doppia valenza, un doppio significato. Il libro parla di una rivelazione, di una scoperta che era sotto gli occhi di tutti e che nessuno riusciva a vedere,di una dimensione che le persone non riuscivano a comprendere, e questa cosa si lega alla ricerca che faccio nella gestione che il cervello ha dei ricordi, e si lega anche all’elemento fotografico, al fatto che la fotografia pensata sempre in maniera bidimensionale nei miei lavori possa poi diventare altro, e possa diventare un elemento che ha a che fare con le tre dimensioni, proprio come il libro Flatlandia in cui il protagonista scopre la terza dimensione.


E.M. In Edit canc4,le tracce dell’essere umano vengono rimosse aprendo una riflessione sulla presenza, la censura e il gesto artistico.Come vedi il ruolo dell’artista all’interno della società nel contemporaneo?


M.R. Credo che seppur l’artista debba essere immerso nella società e nella realtà che lo circonda, secondo me non dovrebbe avere il ruolo di narratore, ma dovrebbe avere la libertà della complessità. Perché la ricerca è qualcosa di più profondo e che molto spesso non ha una visione oggettiva, e che forse non deve averla. L’artista soprattutto dovrebbe avere il ruolo di portare il fruitore a non essere passivo nella fruizione delle immagini, dovrebbe riuscire a portarlo dalla superficie alla profondità e far capire che probabilmente a molte cose non c’è una risposta.



Marco Rossetti, Capua, 1987, vive e lavora tra Napoli e Firenze. Si forma al triennio e al biennio in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli proseguendo il suo percorso artistico attraverso residenze e workshop sviluppando un linguaggio interdisciplinare che lo porta ad indagare i vari aspetti della materia artistica tra fotografia, archivio, pittura e scultura.

Tra le sue mostre recenti Come una stella di giorno, Galleria Nicola Pedana, Caserta, 2021; Icono Smash, Palazzo Rinuccini, Firenze, 2019; Forget/forgive,Penta Space, Firenze, 2018. E’ stato recente vincitore di Level 0, Museo Madre, 2021, della dodicesima edizione del Premio Combat, 2021 e del premio Buris, 2021.

 
 
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