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Il neon e la forma ad igloo sono i codici visivi su cui si è focalizzata la conoscenza, spesso sommaria, dell'operato di Mario Merz. L’autore respira, durante gli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, l’aria internazionale di Torino. Partito da una ricerca pittorica, anche sulla scorta della politicizzazione delle indagini attorno al 1968, trova una propria peculiare strada. Mario Merz sonda la materia per andare oltre, verso il pensiero. Incontra varie sostanze.


Giorgio Verzotti - Mario Merz - Christian Marinotti Edizioni

In tali congiunture si cercano nuovi appigli all'arte partendo da strade inusitate. Anche l'igloo e il neon rappresentano questi viatici. La sua ricerca si confronta pure con il minimalismo e la coagulazione dell'Arte Povera. Nel testo, tale personalità si confronta con altri autori come Giulio Paolini o Piero Gilardi. Ma non solo. La serie di Fibonacci si muove tra ritmo numerico e infinito, in modalità più intuitiva rispetto, ad esempio, a Joseph Beuys. Anche qui Mario Merz cercava di lasciare una testimonianza autentica che non fosse solo la solita esposizione per un periodo di tempo. Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta finiscono le forti passioni politiche. Nasce la Transavanguardia, fenomeno artistico che vuole rifarsi alla tradizione ma confrontarsi anche con le generazioni precedenti. In una mostra a Genazzano Mario Merz si immette in tale paragone, anche perché non aveva mai smesso di guardare alla pittura. Negli anni Ottanta il fantastico entra in tale medium, con riferimenti verso il pensiero mitico-archetipo che influiscono pure su successive ricerche. La sua indagine infatti prosegue. Si racconta la lunga genesi dell'opera ospitata nel 2003 ai Fori di Cesare a Roma, in confronto con Tragedia civile di Jannis Kounellis. Nei ricordi di chi l'ha conosciuto bene si evince inoltre la difficoltà di lavorare con Mario Merz. Egli viveva infatti molto d'improvvisazione, anche se, all'urgenza, sapeva essere presente in toto. Rilevante la testimonianza, tra le altre, di Tacita Dean, dove l'autrice spiega bene il modo di ragionare della sua generazione in confronto a quella di Mario Merz, artista perennemente da (ri)scoprire.


- STEFANO TADDEI


Giorgio Verzotti

Mario Merz

L'artista e l'opera, materiali per un ritratto.

Christian Marinotti Edizioni, pp. 166




Secondo la maggioranza certamente non silenziosa viviamo in un mondo pieno di bellezza. Che poi il centro nevralgico di questo ( finto ) culto estetico risieda nell’ultima novità tecnologica pare essere una cosa ormai universalmente consolidata. In realtà ormai tutto è una ricerca di bellezza per dare un senso ad un esistere che cerca metafisiche consolatorie che indirizzino una vita che ha il suo senso solo nel non possederlo. Il profitto inoltre cerca continuamente nell'estetica un viatico di appeal per vendere meglio.


Edgar Morin - Sull’estetica - Raffaello Cortina Editore

Secondo Edgar Morin l'estetica sostiene la parte meno materialistica del vivere. La medesima emozione provata davanti ad un'opera d'arte non è certamente universalizzabile. Tale impressione ci può trasformare, anche dietro una parvenza di magia o mistero. I concetti di bello e brutto si sono poi circonfusi, creando nuove derive del genere. Un nichlismo estetizzante occulta poi l'etica nell'estetica. Ora, anche tra gli addetti ai lavori, un'opera vale solo per quanto è stata venduta. Pure gli artisti che vanno per la maggiore si adeguano a tale modalità. In realtà tutto non ha la possibilità di raggiungere il successo perchè certi intermediari hanno un potere stratosferico. Nonostante questa ricerca generalizzata del profitto esistono sacche di resistenza. In arte, secondo l'autore, ci si eleva ma, allo stesso tempo, ci s'immerge nella più profonda umanità. Questo dualismo, di matrice sciamanica, è presente negli stati creativi. Davanti a certe opere noi proviamo uno " stato poetico " che oltrepassa l'esperienza estetica. Certi autori inoltre hanno lanciato con la loro arte messaggi all'umanità. La fotografia rappresenta un doppio del referente e tale riferimento si ritrova anche in letteratura e poesia.

Il cinema continua a ricrearsi incessantemente, s'interfaccia copiosamente con altre estetiche e si pone certamente come prototipo di arte totale. Anche in tali visioni siamo talmente sdoppiati al punto che l'emotività può arrivare a farsi sentire prepotentemente. La pittura è divenuta invece sempre più una ricerca per palati economicamente avvantaggiati, mentre la musica, anche quella più popolare, ha un potere ipnotico che ce la fa rimembrare per tanto tempo. Si può perciò affermare che l'arte è la compagna di chi non si accontenta della mera realtà. L'estetica è perciò una forma di conoscenza e in un mondo globalizzato ha capacità di essere compresa appieno a livello mondiale. La comprensione umana infatti supera ogni steccato e l'arte sa poeticizzare la vita. L'esperienza estetica rende inoltre la complessità più umana. Ogni vita, in fondo, può essere un'arte. Secondo Edgar Morin sarebbe auspicabile una riforma pedagogica che insegni ai futuri adulti l'importanza della conoscenza complessa. In fondo l'estetica è un momento per noi di comunione con gli altri nello standardizzarsi del nostro sussistere.


- STEFANO TADDEI


Edgar Morin

Sull’estetica

Raffaello Cortina Editore, pp. 125





Un nuovo ed interessante allestimento delle collezioni del contemporaneo è stato presentato venerdì 15 febbraio alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino: si tratta della prima edizione di un vario programma, consistente in diversi ordinamenti, che si succederanno in un paio di anni.



Allestimento - Photo Paolo Robino

Questo primo ordinamento, a cura di Elena Volpato, si concentra su due decenni ed è dedicato alle opere di artisti italiani tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, in un rapporto di continuità cronologica con l’arte esposta nelle collezioni del ‘900. Le opere che saranno esposte in mostra, fanno interamente parte delle collezioni del museo: molte di queste provengono dalle molteplici acquisizioni realizzate durante la direzione di Pier Giovanni Castagnoli, nel decennio dal 1998 al 2008. Acquisizioni che sono state possibili grazie al generoso contributo della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT. La grande potenza di questi allestimenti innovativi su base biennale, sta nel mostrare e far conoscere al pubblico la ricchezza delle collezioni del museo, dando voce a numerose letture ed interpretazioni critiche.

Da Giulio Paolini a Giuseppe Spagnulo, da Giovanni Anselmo a Paolo Icaro, a Marco Bagnoli, fino a Mario Merz e a Luigi Ontani, gli artisti rappresentati fanno parte di vari gruppi. C’è chi è legato alle vicende dell’Arte Povera; chi si è dedicato alla Pittura Analitica; chi invece ha sperimentato l’Arte Concettuale, ma poi è tornato ai linguaggi tradizionali e ai codici espressivi di una volta. Sono rappresentate ricerche artistiche di quegli anni che però non sono mai state completamente riconosciute dalla più diffusa interpretazione e critica storica. Adesso, a distanza di decenni, sarà possibile ammirare queste esposizioni, concederci di guardare agli aspetti più personali ed individuali della poetica di questi artisti.



Nanni Valentini - Casa (1985) - Installazione: terracotta, pigmenti, elementi metallici

Ed è proprio nella voce personale di ciascuno di loro che sembra risuonare con più chiarezza un forte e al tempo stesso irrisolto legame con la storia dell’arte e con i suoi antichi linguaggi. Verso la metà degli anni Sessanta, i grandi nomi esposti, a differenza di tanti altri artisti di quel periodo che volevano sovvertire i tradizionali linguaggi artistici, ribellandosi e rinnegando la storia dell’arte passata, si iniziarono ad interrogare sul significato della scultura, della pittura e del disegno e sul modo in cui superare i limiti che quei linguaggi avevano posto fino ad allora. La storia dell’arte della loro epoca, esposta nei musei o alimentata dalla quotidianità del paesaggio, era stata l’innesco del loro primo innamoramento, della loro inevitabile necessità espressiva. Solo in risposta a quell’arte, poteva sorgere ogni possibile senso del pensarsi e considerarsi artisti, così come ogni successivo desiderio di superarla ed andare oltre.

Ognuno degli artisti rappresentati fornisce una propria personale interpretazione al rapporto con il passato, ognuno fa suo il linguaggio interpretativo che preferisce, ma tutti condividono un autentico desiderio dell’arte, un viscerale senso di appartenenza, il significato dell’arte fino ad allora, e tutto ciò che l’arte poteva ancora rappresentare nel futuro, in virtù di quella tradizione. Quelle esposte sono opere dove forma e significato sono legati indissolubilmente l’uno all’altro. Il loro compiersi nello spazio reale le apre ad accogliere e nutrire al loro interno il senso di un tempo trascendente, sacro.



Allestimento - Photo Paolo Robino

Le opere esposte nel nuovo allestimento delle collezioni del contemporaneo vengono suddivise in varie sezioni. Nella prima parte del percorso, le opere esposte sono caratterizzate, secondo modalità molto diverse tra loro, da una nuova essenzialità della pittura e della scultura. Queste sono:

Giuseppe Spagnulo, Archeologia, 1978: 16 elementi in ferro

Marco Gastini, Macchie, 1969-70: fusioni di piombo e antimonio su parete

Giulio Paolini, Senza titolo, 1966: matita copiativa e tempera su tela grezza

Claudio Olivieri, Interferenze nero-verde, 1971: olio su tela

Claudio Verna, The Four III, 1970: acrilico su quattro tele accostate

Alighiero Boetti, Rotolo di cartone ondulato, 1966: cartone ondulato

Marisa Merz, Living Sculpture, 1966: lamierino in alluminio cucito con punti metallici

Giorgio Griffa, Impronta del pollice, 1968: olio su tela


Nella seconda parte, artisti dell’Arte Povera parlano i linguaggi tradizionali e riconducono la scultura alle proprie origini:

Pier Paolo Calzolari, Senza titolo, 1968: mollettone montato su telaio, filo di cotone, petalo di rosa, disegno su carta, letturino per strumenti a fiato

Luciano Fabro, Attaccapanni (di Napoli), 1976-77: bronzo, tela di lino, pittura acrilica, filo in cotone

Giovanni Anselmo, Senza titolo, 1984-86: tela, pietra (diorite grigia), cavo d'acciaio, nodo scorsoio


In questa sala, lo spazio e il tempo sono le dimensioni che l’arte accoglie per la prima volta al suo interno, all’interno dell’opera, ma anche all’interno della materia stessa che la compone:

Paolo Icaro, Davanzale per un colore (Davanzale per un turchese), 1982: gesso, paglia e pigmento

Paolo Icaro, Innesto, 1982: gesso e juta

Eliseo Mattiacci, Cultura mummificata, 1972: 134 calchi di libri in alluminio fuso

Eliseo Mattiacci, Essere respirare, 1978: rame, ferro, perspex nero, 2 lamine, altoparlante, registrazione di un respiro

Eliseo Mattiacci, Predisporsi ad un capolavoro cosmico-astronomico, 1981-82: matita e pastelli su carta



Mario Merz - Animale terribile (1981) - Tubolare in ferro, tecnica mista su tela

In questa parte, vengono rappresentati lo spazio e il tempo, coinvolgendo lo spettatore ad osservare l’immagine assoluta del limite e dell’oltre. Qui troviamo:

Marco Bagnoli, Vedetta Notturna, 1986: onice

Marco Bagnoli, Iris, 1987: affresco staccato

Claudio Parmiggiani, Ab Olympo, 1997: tempera su tela e legno

Claudio Parmiggiani, La tela filosofica, 1977: foglia d'oro su tela, 3 elementi in marmo

Hidetoshi Nagasawa, Era, 1986: ottone, legno, cavo d'acciaio


Queste opere fanno riemergere al loro interno, l’evidenza e la rappresentazione della figura:

Mario Merz, Animale terribile, 1981: tubolare in ferro, tecnica mista su tela

Salvo, L'uomo che spaccò la statua del Dio, 1972: marmo nero, doratura

Salvo, San Martino e il povero, 1973: olio e carta applicata su tela

Ketty La Rocca, Pietà, 1974: polittico di 7 pannelli, foto b/n con scritte a inchiostro

Luigi Mainolfi, MDLXIV, 1976: matita, china, inchiostro tipografico su carta pergamena

Luigi Mainolfi, Tamburi, campane e campanacci, 1988-89: legno e bronzo, 9 elementi di misure diverse

Luigi Ontani, DadAndroginErmete, 1987: cartapesta e legno


In quest’ultima sala, scultura e pittura si incontrano ancora una volta, ma mentre la scultura parla di architettura, la pittura nasce in modo naturale impastata di polvere e tempo, lungo i muri della città e delle case, fatta del libero disegno di macchie e crepe:

Nanni Valentini, Casa, 1985: installazione di terracotta, pigmenti, elementi metallici

Franco Guerzoni, Affreschi, 1972: stampa fotolitografica su tela con applicazione di frammenti di intonaco

Franco Guerzoni, Archeologia, 1973: frammenti di stucco con pigmenti e serigrafia su foto originale

Franco Guerzoni, Archeologia, 1973: gessi colorati su foto originale ritoccata


Infine viene presentata una selezione di libri d’artista, acquistati grazie alla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea – CRT, un ideale elemento di congiunzione tra le opere esposte in Pittura spazio Scultura, improntate ai linguaggi tradizionali, e l’utilizzo delle nuove strategie di divulgazione e democratizzazione dell’arte.



Allestimento contemporaneo - Photo Giorgio Perottino

Pittura spazio scultura. Le collezioni del contemporaneo.

Periodo: 15 febbraio 2019 - 4 ottobre 2020

Orario di apertura: tutti i giorni dalle 10 alle 18

chiuso il lunedì

Dove: Gam - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea

Via Magenta, 31 - Torino

Ingresso: intero 10 €, ridotto 8 €


- Giulia Zamponi

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