La peculiarità di Bansky è di interfacciarsi con il grande pubblico. Questo accade in congiunture in cui l’arte contemporanea sembra sempre più un circolo ristretto dominato da finanza e da brand potentissimi.
Bansky però non vive d’aria, anche lui si confronta con il capitale. La modalità però è certamente diversa. L’autore, anche grazie alla sua identità ancora nascosta, si può permettere discorsi che non possono essere rifiutati. Dietro e attorno a lui ci sono inoltre persone che lo coadiuvano e danno alla sua ricerca un sapore ancora sovversivo. Rispetto all’arte dei graffiti, parecchio settaria, Bansky sa poi modulare idee che, pure per mezzo della semplicità della proposta, hanno sempre un grande appeal popolare. Tale libro cerca di sondare come questa ricerca s’insinui nell’attualità e si mostri attenta a certe urgenze dell’umanità ma, in realtà, abbia tante questioni in essere ben poco chiare. Pest Control certifica le opere d’arte non pubbliche, elaborati che hanno avuto diverse vicissitudini. Bansky si è confrontato con le istituzioni pubbliche usando il filtro dell’ironia e della provocazione. Non ha un gallerista ma, certamente, non può più di tanto controllare quello che succede alle proprie opere vendute. Il libro è un viaggio nelle contraddizioni di Bansky, artista contro certe storture del mondo ma che, a volte, deve venire a patti con i burattinai di tale universo. Resta, comunque, ben impresso come la popolarità dell’autore britannico, la sua capacità di muoversi nell’ambiente mediatico e un notevole riscontro popolare ne stiano tracciando un percorso peculiare che si snoda in mezzo a tutti.
- Stefano Taddei
Maddalena Ricolfi
Bansky
L’arte come rivoluzione
Luni Editrice, pp. 152
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