La follia di Antonio Ligabue è stata sempre un paravento per approcciarsi alla sua arte. Questo testo vuole approfondire la parte meno conosciuta del percorso esistenziale dell’autore, in particolar modo quello in Svizzera e il primo accostamento alla realtà nazionale.
Certamente i segni di squilibrio di Antonio Ligabue sono ben documentati anche precedentemente al suo ingresso in Italia. Resta il fatto che i paesaggi nella sua arte si riferiscono a molti elementi visti e vissuti in ambito elvetico. La famiglia che lo ebbe in affidamento fu stimolante da certi punti di vista. Pare infatti che con la matrigna visitò esposizioni d’arte. Le stesse scuole speciali che frequentò lo misero in contatto con gli animali e il mondo agreste, fomentando quell’amore verso di loro che manifesterà per tutta la vita. Tra il 1913 e il 1915 fu allievo presso l’ « Anstalt » di Marbach, luogo dove la manualità e la creatività veniva particolarmente stimolata. Tutti i documenti elvetici che lo riguardano, anche quelli quando apparvero, oltre il ritardo d’apprendimento anche vari segni di pazzia, testimoniamo la sua capacità interpretativa delle immagini, delle emozioni e una notevole bravura nel disegno. Ecco quindi che questo retroterra va ampiamente valutato nell’interpretazione della vita artistica di Antonio Ligabue. Quando giunse in Italia con notevoli problemi di lingua e di adattamento, tali trascorsi non poterono che, in qualche modo, agevolarne una ricerca di senso al suo stare al mondo. Quasi vent’anni visse in terra svizzera, anni ancora poco studiati prima di tale testo ma che così trovano spunti per comprendere appieno un percorso peculiare nella creatività non solo italiana del Novecento.
- Stefano Taddei
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