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La prima cosa che ci ricorda Renato Barilli è che la critica, tra le altre cose, deve " essere parziale, partigiana, autorizzata alle scelte, alle discriminazioni." L’autore ci presenta quindici artisti imprescindibili per comprendere la contemporaneità.




Ne parla discorrendo su emblematici lavori degli autori.Si parte con Jeff Koons. Questo artista ci appare come epigono del consumismo più sfrenato, con un modo unico di approcciarsi alla società massificata e con una preziosità visiva studiata benissimo nei materiali utilizzati. Alla fotografia e alle sue inesauribili possibilità epiche fa riferimento David LaChapelle, autore che tratta anche lui in modo peculiare, attraverso i suoi personaggi, il cattivo gusto. Stazioni di rifornimento sono il segnale del consumismo ad oltranza. Luigi Ontani, negli anni Sessanta, comincia un percorso narcisistico che parte dalla fotografia, passa dalla pittura e arriva alla ceramica. Ci fu poi l’infatuazione per l’Oriente ma un legame grande è rimasto con il paese natio Vergato. Nel 1977 fece la prima performance e una rarità in tale senso rimane la sequenza lampo de L’ombrofago. Salvo entra nel circuito poverista di Torino dopo un viaggio a Parigi nel 1968, utilizzando fotografie in cui si dipanava, ad esempio, come Raffello. Poi si rivolse alle lapidi “ di una egolatria esasperata “. Nel 1973 si orienta alla pittura e non l’abbandonerà più. Salvo si è nel tempo fatto un percorso proprio, non debitore a nessuno. David Hockney ha faticato a raggiungere il successo. E’ andato a cercare la propria fortuna in Usa, utilizzando una pittura pop art molto leggera. In California scopre le piscine che diventano soggetti delle proprie opere e nel libro ci sono interessanti confronti tra il suo lavoro e quello di Katz e Freud. L’autore continua ad essere sulla cresta dell’onda, anche dal punto di vista dei materiali utilizzati, vedi, ad esempio, l’Ipad. Una fonte inesauribile pare Damien Hirst, che produce opere che eccedono la mera contingenza della pop art. Ha portato avanti una sorta di zoo replicato e in Tresaures… ha fatto coesistere concetti lontani in un opera infinita nella sua spettacolarità. L’artista pare imbarbarire quello che dovrebbe essere suadente, stando molto lontano dall’opera di Koons. Takashi Murakami presenta figure erotiche o maschi che emettono sperma e paiono lanciare il proprio rostro verso di noi. E’ un autore poliedrico, con tante sfaccettature. Questa è una delle sue forze. Di Mariko Mori pare essere Wafe Ufo l’opera più interessante e provocatoria che appare come un’astronave pronta a partire per una nuova avventura, memore di tanti film con tematica similare. William Kewntridge è legato ad una prassi elementare della visione, ben diversa da quella dei cartoni animati. Pare assecondare le ombre non ideali, vero fulcro della propria operazione estetica. Ogni mossa mantiene ferrea coerenza anche se sembra cambiare. La sua riconoscibilità è la sua carta d’identità che non ha confronti. Nei primi lavori di Shirin Neshat c’era recupero di un’antica cultura, riportata all’attualità in modo drammatico. In seguito, tramite i video, ha rimarcato la differenza sessuale che imperversa ancora nel suo pese d’origine. Doris Salcedo è angosciata dalla possibilità di una guerra civile nel paese natio della Colombia. Questa drammaticità è presente in opere che anelano a raggiungere un linguaggio di normalità. Ma il dramma è sempre dietro l’angolo, non troppo nascosto e non si può evitarlo. Un confronto con la foresta amazzonica, mediata dal ricorso a materiali sintetici, guida il lavoro di Ernesto Neto. E’ come se sfidasse il naturale con l’artificiale. Anche Tomàs Saraceno si confronta con il dato ambientale ma ci sembrano trame che possano imbrigliare esseri per essere poi divorate. L’artista cubano Kcho affronta nel suo lavoro la fuga dall’isola di molte persone. Al centro del proprio repertorio ci sono le barche e una presenza umana appena accennata, cioè debole e indifesa. In chiusura troviamo i Neuen Wilden Baselitz e Kiefer, che paiono essere accomunati da un gesto espressionistico-barbarico. Kiefer porta il fardello del disastro da cui la Germania è uscita dal secondo conflitto, mentre Baselitz con le sue figure a testa in giù rinnega ogni riferimento a modalità museali o storiche. ( Stefano Taddei )

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La fotografia ha certamente rivoluzionato il modo d’intendere del ritratto. Fin dagli inizi la soggettività umana doveva infatti rendere conto del risultato immutabile che mette in contatto l’infinita sensibilità umana e il tempo determinato dello scatto. Il referente perciò permane complesso come siamo noi come persone. Impresa ardua quella dell’autore, darci una panoramica del fenomeno del ritratto fotografico. Molti sono gli esempi a supporto delle proprie tesi.




Il selfie è certamente uno dei modi di massa contemporanei per ritrarsi. Non che non ci siano esempi similari ben prima, tanto che tuttora la maggioranza delle fotografia presenta persone. Con il selfie un essere si fa e controlla come verrà il proprio ritratto, rimarcando fondamentalmente il proprio esserci in determinate situazioni. On line poi c’è un modo di “ fare rete “ con le immagini. Un esempio sono le app di incontri. Da questa metodologia il senso non è produrre stampe, solo lo spettatore, eventualmente lo può fare. Ciò rivoluziona lo stesso concetto di fotografia su carta. Inoltre dai social arrivano tantissimi video e qui il fotografo può catturare il momento migliore. Ciò porta a rivoluzionare ciò che è stata la ritrattistica fotografica. La fotografia ha tentato di raccontare gli stati d’animo ma le uniche emozioni che può riportare sono quelle sul corpo e sul volto. L’essere non è solo il fisico. Spesso i fotografi hanno usato le espressioni e il linguaggio dell’organismo per sondare l’anima del referente. Molto importante è pure il ritratto in studio. Anche se in fase di post-produzione ormai è lecito fare dei cambiamenti del fondale, come ci ricorda l’autore, “ una seduta riuscita è come un vortice nella corrente della vita quotidiana “.

C’è poi la fotografia dell’ “ alterità “ e servono allo spettatore per conoscere personalità. In tali immagini c’è però sempre, dietro, un riscontro della personalità del fotografo. Nonostante appaiano generalizzazioni, tali fotografie tracciano la specificità del referente. La fotografia di moda è stata spesso spunto per altri tipi di fotografia. Siccome la moda cambia continuamente, il mezzo per le immagini è in continuo mutamento. Non esiste, forse, fotografia d’avanguardia continua come quella di questo tipo. Certi ritratti svolgono poi le veci di vere e proprie narrazioni. In tali opere certamente si può rimarcare l’influenza del cinema. Tali fotografie divengono descrizioni incompiute, ci chiedono di andare oltre l’immagine senza, sovente, darci grandi indizi. In fondo la ritrattistica in fotografia ci immette nel sociale e, grazie ad essa, non siamo mai soli. L’infinità delle comunicazione che veicola non trova alcuna fermata. E questa è solo una delle ricchezze od obiettivi che ha.

( Stefano Taddei )

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La forma è il focus del lavoro di Nuria Mora. Attraverso soluzioni identificabili, semplici ma non figurativamente conchiuse, l’artista ci presenta un mondo veramente intrigante di simbologia. Le forme, appoggiandosi a vari materiali, amplificano la portata semantica della proposta artistica.



Nuria Mora, L’omino della sabbia Marron, Reggio Emilia, 2022

Acrylic and oil on linen, 170 x 125 cm

© Ph. Fabrizio Cicconi


Una nuova simbologia scaturisce da tali opere, sempre in movimento, mai statica. Non siamo molto lontani dal concetti moderni di John Ruskin di moderno, per il quale tutto ciò che esiste è realmente o potenzialmente , artistico (Timothy Hilton, I Preraffaelliti, Mazzotta, Milano, 1981, p.17 ). Nuria Mura modifica i vari componenti delle opere e con una propria irrequietezza che, continuamente, non può focalizzare lo sguardo. Nuove forme si combinano, incessantemente. L’artista ha saputo amalgamare vari stimoli, rendendo dettagliati e rendendoli possibili di infinite combinazioni.




Dorica Hand painted ceramic 400 x 50 cm

Dorica pequeña Hand painted ceramic 300 x 50 cm

Estrella Hand painted ceramic 350 x 50 cm

Facetas Hand painted ceramic 266 x 27 cm

Panettone Hand painted ceramic 343 x 43 cm

© Ph. Alessandro Bonori


Bidimensionale e tridimensionale è questo alfabeto. L’incontro con la classicità, molto personale dato che l’artista ha studiato architettura, si può evincere dai totem. Qui il trattamento delle superfici si fa quasi metafisico. La forma, nella contemporaneità, non porta ad un riconoscersi in quello che si ha davanti. Si cerca qualcosa in più, un valore aggiunto. L’autrice ne ha coscienza, sfida le forme dei quadri e i totem. Il processo. Questo è importante nel Postmoderno. Costruzione materiale e mentale s’intersecano, in tale mostre, in modo peculiare. ( Stefano Taddei )




Nuria Mora

Allontanarsi sulla linea gialla

Spazio C21

Palazzo Brami

Via Emilia San Pietro 21

Reggio Emilia

Fino al 05/02/2023

https://www.spazioc21.com



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