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Questo autunno la Tate Britain dedica una straordinaria esposizione ai due giganti del paesaggio britannico: J.M.W. Turner e John Constable.


Erika Pellicci, Angela compra le sigarette
JMW Turner,The Burning of the Houses ofLords and Commons, 16October 1834,1835. Cleveland Museum of Art. Bequest of John L.Severance 1942.647

La mostra – la prima a esplorare in profondità le loro vite intrecciate, i contrasti e le reciproche influenze – celebra il 250° anniversario della loro nascita e riunisce oltre 170 opere, tra dipinti e lavori su carta, molte delle quali raramente esposte nel Regno Unito.


Nati a un solo anno di distanza, Turner nella Londra tumultuosa e Constable nella quiete rurale del Suffolk, i due artisti intrapresero percorsi radicalmente diversi. Turner fu un prodigio precoce: espose alla Royal Academy a 15 anni e realizzò opere ambiziose come The Rising Squall prima di compiere i diciotto. Constable, più lento e meditativo, costruì la propria formazione da autodidatta, viaggiando e studiando dal vero i cieli e i paesaggi della sua terra d’origine. Eppure, entrambi condivisero un obiettivo: rivoluzionare la pittura di paesaggio, trasformandola in un genere capace di emozionare, raccontare e innovare.


La mostra segue lo sviluppo parallelo della loro identità artistica: da una parte, l’energia sublime di Turner, che dai taccuini di viaggio trasse ispirazione per visionarie vedute alpine, mari in tempesta e ardite invenzioni luministiche; dall’altra, la precisione di Constable, che vide nel cielo l’anima del paesaggio e lo studiò con una dedizione quasi scientifica. La Tate riunisce per l’occasione un raro gruppo dei suoi celebri studi di nuvole, oggi considerati tra gli esiti più poetici dell’arte inglese dell’Ottocento.


John Constable,Salisbury Cathedral from the Meadows, c. 1829. Imagecourtesy of Tate
John Constable,Salisbury Cathedral from the Meadows, c. 1829. Imagecourtesy of Tate

Il confronto tra i due culmina negli anni Trenta dell’Ottocento, quando la critica iniziò a opporli sistematicamente, definendoli “fuoco e acqua”. Celebre il momento del 1831 in cui Constable espose il suo Salisbury Cathedral from the Meadows accanto al Caligula’s Palace and Bridge di Turner: un dialogo serrato tra atmosfere, poetiche e visioni del mondo, riproposto ora alla Tate con la stessa intensità.


Tra i capolavori in mostra spiccano The Burning of the Houses of Lords and Commons (1835) di Turner, non esposto in Gran Bretagna da oltre un secolo, e The White Horse (1819), uno dei vertici di Constable. Opere che testimoniano come entrambi, pur in modi opposti, abbiano ampliato i confini del paesaggio, rendendolo degno dei più grandi formati e delle più alte ambizioni artistiche.


JMW Turner, The Decline of the Carthaginian Empire,exh.1817. Imagecourtesy of Tate.
JMW Turner, The Decline of the Carthaginian Empire,exh.1817. Imagecourtesy of Tate.

La mostra si chiude con un film in cui artisti contemporanei – tra cui Bridget Riley e Frank Bowling – riflettono sull’eredità di Turner e Constable. Un’eredità viva e potente, che continua a influenzare lo sguardo con cui osserviamo la natura, la luce e il paesaggio.


Tate Britain

Millbank, London SW1P 4RG


Date

27 novembre – 12 aprile 2026

 
 

Agostino Rocco porta alla Candy Snake Gallery una nuova meditazione sulla pittura contemporanea con Les bonbons cruels, in mostra dal 26 novembre 2025 al 3 gennaio 2026.


Erika Pellicci, Angela compra le sigarette
Agostino Rocco, Lemony Cathy, 2025,

L’artista, noto per la sua capacità di far dialogare la tradizione del ritratto con il presente più ambiguo e digitale, presenta una serie di opere inedite accompagnate da un testo critico di Andrea Contin. L’inaugurazione è prevista per mercoledì 26 novembre alle ore 18.30 negli spazi della galleria milanese in via degli Orombelli.


Con questa nuova personale, Rocco prosegue un percorso che da anni attraversa la storia della pittura per reinventarla dall’interno. Nei suoi dipinti, l’eco dei maestri fiamminghi – da van Eyck a Holbein – non è mai semplice citazione, ma terreno fertile per interrogare la natura stessa dell’immagine. Come osserva Contin, Rocco sembra continuare idealmente una conversazione con quei grandi maestri, spingendo la pittura verso un territorio dove bellezza e perturbazione si toccano.


I ritratti di Les bonbons cruels incarnano questa tensione con particolare lucidità. Volti che non esistono, generati da un immaginario che attinge all’estetica dell’intelligenza artificiale senza mai cederle completamente il passo. Sono figure familiari ma indecifrabili, “icone senza identità”, sospese in una dimensione che sfugge alle categorie di reale e irreale. La loro perfezione levigata, accentuata da una luce calibrata con sapienza e da una pennellata invisibile, genera un cortocircuito emotivo: si resta attratti e insieme disturbati, come davanti a una presenza che ci osserva senza davvero esserci.


La forza del lavoro di Rocco risiede proprio in questo gioco di specchi tra seduzione e inquietudine. Ogni dipinto è frutto di una costruzione lenta, stratificata, in cui disegno, chiaroscuro e sottili velature ad olio ricreano a mano l’immediatezza fredda del digitale. È un processo di controllo assoluto, che l’artista definisce una vera e propria “apnea esistenziale”: un’immersione profonda nel gesto pittorico, dove tecnica e pensiero si intrecciano fino a diventare indistinguibili.


Autodidatta, classe 1971, Rocco ha costruito negli anni una poetica riconoscibile e sofisticata, capace di coniugare rigore formale e sottile ironia. Le sue opere hanno trovato spazio in gallerie e istituzioni internazionali tra Parigi, Amsterdam, Roma, Pietrasanta e il Belgio, confermando una ricerca coerente e in continua evoluzione.


Candy Snake Gallery

Via degli Orombelli 15, Milano


Date

26 novembre – 3 gennaio 2026

 
 

Dal 30 novembre 2025 al 16 febbraio 2026, ME Vannucci presenta mi piacerebbe rimanere qui un po' più a lungo, la prima mostra personale di Erika Pellicci negli spazi della galleria.


Erika Pellicci, Angela compra le sigarette
Erika Pellicci, Angela compra le sigarette

Ventidue fotografie inedite – tra cui tre grandi stampe su stoffa – costruiscono un percorso intimo e sospeso, accompagnato da un testo di Moira Ricci, che amplifica la dimensione emotiva e meditativa del progetto.


Entrare nella mostra è come varcare la soglia di una camera degli ospiti: uno spazio familiare, ma mai del tutto nostro. Pellicci trasforma questo luogo in un ambiente di transizione, dove memoria, cura e fragilità convivono. Qui si depositano tracce che appartengono tanto al passato quanto al presente, rese visibili attraverso immagini che evocano gesti, presenze, attese. Ogni fotografia diventa un invito a fermarsi, ad abitare lo sguardo dell’artista come ospiti che osservano senza disturbare, consapevoli della delicatezza dell’intimità altrui.


Le immagini di Pellicci funzionano come inviti discreti: ciascuna chiede allo spettatore di fermarsi, di sostare nel territorio intimo in cui l’artista colloca la propria vulnerabilità. Le fotografie, costruite con grande attenzione al gesto e al corpo, diventano luoghi di ascolto: soglie visive che interrogano la misura del nostro stare, il modo in cui osserviamo e, inevitabilmente, ci confrontiamo con ciò che è fragile, mutevole, umano.


Erika Pellicci, Casa di Andria
Erika Pellicci, Casa di Andria

Classe 1992, originaria di Barga e formata tra Firenze e Bologna, Erika Pellicci si è imposta negli ultimi anni come una delle voci più originali della giovane fotografia italiana. La sua pratica, che intreccia fotografia, video e performance, esplora i confini tra identità e metamorfosi, tra appartenenza e perdita. Un percorso che l’ha portata a esporre in istituzioni italiane e internazionali, dalla Biennale Giovani di Monza al Lishui Photography Festival in Cina, ottenendo premi e riconoscimenti come lo Spada Partners Prize 2024 a Torino.



Erika Pellicci, Uno.. due.. the.. STELLA
Erika Pellicci, Uno.. due.. the.. STELLA

mi piacerebbe rimanere qui un po' più a lungo è dunque una dichiarazione e una promessa: il desiderio di sostare, di restare in un luogo che non è mai del tutto nostro, ma che ci interroga proprio per questo. Una mostra intima e sospesa, in cui il tempo sembra dilatarsi e la fotografia diventa spazio d’ascolto, di attesa, di possibilità.


Galleria ME VANNUCCI

Via Gorizia, 122 Pistoia


Date

30 novembre 2025 - 16 febbraio 2026

 
 
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